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La Napoli sotterranea

Strade su e giù, il mare laggiù da qualche parte. Il profumo dei panni stesi, anche senza sole, che si confonde con l’odore di fritto. Sono le mie immagini di Napoli, così come l’ingresso della pasticceria Poppella, con la porta sostituita nel giro di poche ore dopo un raid con tanto di spari contro la vetrina. E’ il Rione Sanità il luogo ad avermi più colpita in una cavalcata di neanche tre giorni in questa città ricca di strati, colori e odori. Soprattutto di strati: a Napoli ho trovato tante città una dentro l’altra, e più che altro, una sopra l’altra. I proiettili contro una delle attività che cercano di dare una nuova immagine al rione ha alimentato molti servizi sui giornali locali. Sul ‘Mattino di Napoli’ ho letto questa frase, in un affresco del quartiere fatto da Pietro Treccagnoli: “Ogni palazzo a Napoli è una piccola Napoli, spalmata su più livelli”. E’ questo gioco di sopra e sotto, di luce e ombra, di vita e morte la grande magia.

La Neapolis sotterrata

Il bello degli scavi e delle aree archeologiche è che ti costringono a lavorare di immaginazione. Sei obbligato a ricostruire con la mente spazi e voci, dove spesso si vedono solo tracce e sassi. Nella visita alla Napoli romana, però, non è proprio così, perché l’antico mercato sotto la chiesa di San Lorenzo Maggiore è davvero ben conservato. La visita inizia da qui: percorrendo una delle strade più pittoresche della città- San Gregorio Armeno con le sue botteghe di presepi artigianali – si arriva davanti alla scalinata della chiesa francescana e si è pronti a imboccare via dei Tribunali.

E’ il cuore di Napoli, anche sotto terra. Le visite guidate nell’antica Neapolis partono a vari orari (l’ultima, almeno in questa stagione è alle 17) e abbiamo avuto la fortuna di trovare una guida preparatissima, anche davanti alle domande umarelliche più disparate. Dopo avere visitato la sala del refettorio (qui c’è un convento) e ripercorso la storia degli Angioini a Napoli, si inizia a scendere e si apre una seconda città. Abbiamo camminato su un vero e proprio cardine romano (una delle perpendicolari dei tre decumani del centro storico) su cui si affacciano botteghe antiche e pure un mercato coperto. Gli spazi, scavati nella roccia, sono perfettamente conservati, come i pesanti terrazzamenti di origine greca su cui sono sorte le attività di epoca romana. I due mondi si sono sovrapposti, così come subito sopra è poi sorta la chiesa. In seguito a un’inondazione, infatti, l’intera area è stata coperta dal fango, sembra dopo un’eruzione dei Campi Flegrei, e, dal V secolo d.C. l’antico mercato è stato abbandonato. In quelle gallerie ho pensato che oggi non si lascerebbe più un luogo sotto il fango, cercheremmo in tutti i modi di ripulirlo, bonificarlo. Invece quella città sotterranea è rimasta lì, nel suo silenzio, ma ancora intatta. Ed è arrivata fino a noi.

Catacombe di San Gennaro

Dal cuore del rione Sanità, dopo avere visto la casa di Totò decisamente rovinata (e sul grande comico si aspetta da anni la nascita di un museo), la piazza con la statua che ricorda Genny, una delle vittime innocenti del quartiere (ucciso da un proiettile vagante nel 2015), abbiamo iniziato a salire, fra palazzi scrostati e stendini, fino a Capodimonte. Da qui, però, siamo scesi un’altra volta, nella pancia di tufo della collina. Entrando nelle catacombe di San Gennaro sembra di penetrare nelle viscere della terra e invece si resta sempre sopra il livello del mare.

Ecco un’altra visita guidata affascinante, disponibile anche in inglese, con una guida entusiasta che ci ha portato per mano fra tombe ipogee, affreschi, basiliche sotterranee. Come ci ha spiegato, sotto le volte della roccia, non si nascondevano cristiani per sfuggire alle persecuzioni: nella Napoli dall’animo greco non ci sono praticamente state (se non nel porto romano di Pozzuoli). Queste nicchie nel tufo erano proprio tombe.

Dopo avere visto il luogo in cui erano state portate nel quinto secolo, le spoglie di San Gennaro, si passa in un’altra serie di gallerie, aperta solo negli anni Ottanta. Questa parte è quella cristiana e lo si capisce pure dal battistero presente: ancora una volta la vita e la morte sono molto vicine.

La gestione di questo scrigno di roccia è affidata alla cooperativa La Paranza che, abbiamo scoperto durante la visita, è stata la prima a coinvolgere giovani nel Rione Sanità. Sono partiti in quattro, oggi sono più di trenta, come le associazioni che sono nate subito dopo che cercano di dare un’alternativa lavorativa ai giovani della zona. E i risultati sono arrivati: per quanto riguarda la Paranza, nelle catacombe di San Gennaro e San Gaudioso (il biglietto è unico e dura un anno), l’anno scorso le presenze sono state quasi 80mila. Un dettaglio non da poco: la cooperativa ha previsto rampe e scivoli per la visita. Le catacombe, nella loro filosofia, devono essere accessibili a tutti.

Il cimitero delle Fontanelle

Siamo ai margini del Rione Sanità, a qualche minuto a piedi dalla fermata della metro Materdei. Prima di mangiare una fantastica pizza fritta da Starita, lasciandosi alle spalle una sequenza di palazzi più signorili, si scende (ancora una volta) per una serie di scalinate fino a un gruppo di case che sembrano un paese a se stante. Dietro alcuni terrazzi svetta un altissimo albero carico di mimose. E’ un luogo strano, ma mai quanto l’enorme antro nel tufo che si apre davanti ai nostri occhi, alle spalle di un edificio colorato come se fossimo in Messico.

Ci inoltriamo nella collina, l’ingresso al Cimitero delle Fontanelle è gratuito, e quando gli occhi si abituano alla penombra, realizzo: siamo circondati da teschi e ossa, ammonticchiati gli uni sugli altri, all’interno di quelle che sembrano aiuole. E’ un’esperienza surreale, ma permette di cogliere, ancora una volta, quello stretto legame fra i due regni, terreno e ultraterreno, che si avverte a Napoli. Le ossa presenti sono circa 8 milioni e appartenevano a persone che non erano state sepolte, o uccise dalla peste o portate lì dopo che altre tombe erano state svuotate. Nel tempo è nata una pratica, quella di adottare un’anima pezzentella, e la gente del posto ha iniziato a prendersi cura dello scheletro di qualche persona sconosciuta. In questi gallerie, fra teche, crocifissi e santi, si respira qualcosa di molto potente, dove il mondo pagano e cristiano si incrociano continuamente. La cooperativa La Paranza di cui ho parlato sopra organizza visite anche qui.

La metropolitana

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Un post condiviso da Giorgia🍀 (@cucugio93) in data:


Cambiamo scenario, ma non troppo, visto che dentro la fermata della metro Municipio, sono incastonate le mura del Castel Nuovo. Ho visto solo le stazioni della linea 1, l’unica che ho preso, ma le ho trovate una più bella dell’altra e soprattutto ben tenute. In nessun orario del giorno ho mai visto i treni troppo pieni: non so se sia stato un caso o se invece la gente non la prende poi così spesso. E’ una cosa che non mi è chiarissima. Comunque sia, già arrivando alla stazione centrale si possono prendere, sia la linea 1 che 2 subito fuori: il biglietto ha un costo piuttosto standard, 1.50 euro (tre euro il giornaliero, che si può usare anche sugli altri mezzi). Divertente e colorata la fermata Università, ed scende nella pancia della città di ben trenta metri, è impressionante! Le fantasie alle pareti sono opera del designer Karim Rashid.

Semplicemente stupenda anche Toledo, a un passo dai Quartieri Spagnoli, progettata (guarda un po’) dall’architetto spagnolo Óscar Tusquets e in questo caso scendiamo ancora più in profondità. Avvolti dalla luce e dai mosaici di William Kentridge, i colori creano un universo sotterraneo blu, un chiaro riferimento al mare, che troviamo più sotto increspato nei pannelli di Bob Wilson. E mentre a Materdei abbiamo opere di Sol Lewitt, nella fermata Dante troviamo Kounellis, con i suoi inquietanti abiti e scarpi fissati al muro. E qui, purtroppo, un po’ di incanto finisce: mentre controllavo i nomi su Internet, mi sono imbattuta in articoli di poche ore fa sul furto di una di queste opere. Ammetto: ci sono rimasta un po’ male, come se fosse successo a casa mia.

 

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  1. Pingback: Cinque cose che ho amato di Napoli - Orizzonti

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